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Di Gennaro Aprea (del 23/05/2016 @ 19:07:49, in F) Questa è l'Italia, cliccato 739 volte)
LUCI ED OMBRE SULLA COMUNICAZIONE DEI GIORNALISTI
Negli ultimi tempi ho scritto molto di argomenti che riguardano l'ambiente in generale, il clima e il riscaldamento globale e locale. Devo dire con soddisfazione che la gente comune ha iniziato ad interessarsi più di quanto non facesse solo un paio di anni fa; e a prendere coscienza dei pericoli cui va incontro il Pianeta ed anche Il proprio Paese. Tuttavia solo pochi giornalisti della carta stampata hanno operato bene (es. Antonio Cianciullo che è uno fra i migliori, ma ce ne sono altri molto validi). La mia impressione positiva riguarda soprattutto i giornalisti degli altri media, TV, radio e le trasmissioni dove gli ascoltatori sono coinvolti direttamene dimostrando questo loro interessamento.
Per esempio, oltre alla sperimentata pluriennale trasmissione del sabato "Ambiente Italia", numerose altre si sono aggiunte, come "GEO", "Fuori TG", "Mediterraneo", ecc. alle quali si aggiungono persino alcuni talk show; per non dimenticare l'interessante trasmissione dell'ambientalista Luca Mercalli che ha ripetuto quest'anno "Scala Mercalli" in 6 puntate che aveva già creato e trasmesso nel 2015.
Importante è anche la partecipazione degli ascoltatori che hanno posto numerose domande ai giornalisti di turno settimanali nella trasmissione radiofonica "Prima pagina" di Radio 3.
Molte luci dunque? Si, ed io personalmente ne sono molto soddisfatto perché finalmente comincia ad avverarsi ciò che ho cominciato a fare circa 8 anni fa: cioè trasmettere conoscenze e consapevolezza sui problemi ambientali alla gente comune, convinto che i responsabili dei destini del pianeta dal punto di vista ambientale agiranno per il bene del clima se vi sarà una pressante domanda dal basso. Addirittura per la prima volta da quando si parla di elezioni comunali, ho ascoltato candidati di varie liste discutere sui problemi ambientali della loro città e delle Città Meropolitane, fra le quali come tutti sappiamo ve ne sono alcune molto importanti, Hanno quindi coinvolto gli ascoltatori e creato così consapevolezza che viene dal basso.
Ma quali sono le ombre? Alcuni giornalisti continuano in numerosi casi a dimostrare la loro superficialità e direi dimostrazione di incompetenza. Non è la prima volta che faccio degli esempi, ma questa volta ho qualcosa da "ribadire" riguardo gli incidenti (troppo numerosi ahimè) degli edifici che crollano perché è "scoppiato" qualcosa.
Non molto tempo fa è crollata una palazzina nei pressi di Roma ed i suoi occupanti si sono per fortuna tutti salvati. TV, radio e quotidiani hanno detto che era scoppiata la caldaia.
Dunque da tempo continuo ad ascoltare che è scoppiata una bombola di gas; questa volta è stata la volta di una caldaia. Se i cronisti si informassero appena un po' su come e cosa provoca uno scoppio potrebbero evitare di dire e scrivere castronerie. E' molto semplice:
Qualsiasi gas combustibile (gas liquefatto, metano, idrogeno fra i più conosciuti) in miscela con l'aria (che contiene ossigeno/comburente e azoto inerte) può creare una potente "miscela tonante", cioè lo scoppio, in presenza di una fiamma (per esempio un fiammifero che si accende o una scintilla di un qualsiasi interruttore di luce) oppure può bruciare semplicemente con alte fiamme; le due alternative dipendono dalle percentuali - differenti per ciascun gas - . di gas e aria. Se non si crea la miscela tonante il gas semplicemente brucia
Quindi non è mai scoppiata una bombola o una caldaia, né potranno mai scoppiare, ma unicamente il gas fuoriuscito per una qualsiasi ragione creando miscela tonante
Più volte in passato sono state fatte dimostrazioni di sicurezza (obbligatorie) per i test delle saldature delle bombole ed i serbatoi di auto a gas liquido, ponendole su un grande fuoco vivo e continuo (ora si fanno con altri metodi validi meno eclatanti). Il risultato era che la bombola si gonfiava gradualmente in non meno di 20 minuti finché la lamiera si crepava non in corrispondenza delle saldature, lasciando fuoriuscire il gas a pressione creando una fiamma tipo lanciafiamme, Tutto ciò senza provocare alcuno scoppio perché all'interno della bombola o del serbatoio vi è unicamente gas e zero aria. La fiamma si estingueva appena il gas era finito interamente.
Vi chiedere il perché di queste dimostrazioni: ebbene spesso le si faceva utilizzando un vecchio autobus da rottamare. Lo si cospargeva di benzina o gasolio, all'interno e sotto il pianale per dimostrare che in caso di fuoco accidentale (es. un forte scontro con altro veicolo) che si trasmetteva all'autobus, i 20 minuti era sufficienti per evacuare tutti i passeggeri compreso gli eventuali feriti o ustionati.
Mi sono accorto di avervi fatto una lunga e forse noiosa lezione di fisica/chimica. Scusatemi....chiudo subito, anche se avevo pensato di farvi un altro interessante esempio (navale) di come si può agire per la sicurezza del trasporto marittimo dei gas.
Ricordatevi però che se vi capita di sentire puzza di gas, siate calmi, non accendete la luce, non usate il telefono in casa, aprite le finestre e la porta, non suonate i campanelli dei vicini per avvisarli di uscire subito senza accendere luci se di notte, ma battete solo la porta e scappate tutti al più presto, Quando siete fuori potrete usare il cellulare per chiamare i pompieri che sanno risolvere il problema.
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Di Gennaro Aprea (del 02/06/2016 @ 17:49:45, in L) Zero-carbonio, cliccato 691 volte)
L'articolo che segue è apparso sulla Newsletter QUALENENERGIA (newsletter@qualenergia.it) ed è stato scritto da Gianni Silvestrini, suo fondatore, Presidente Green Building Council Italia e coordinamento FREE, Direttore scientifico Kyoto Club e Quale Energia, saggista ("2° C" - 2a edizione).
L'articolo mette esattamente a fuoco la situazione  a livello globale e le azioni che il mondo deve realizzare concretamente nell'interesse del Pianeta, cioè noi umani e la natura in cui viviamo.
Desidero ringraziare il Professore Ing. Gianni Silvestrini per avermi permesso di inserire il suo articolo su questo blog che sarà molto utile ai miei lettori per la comprensione dell'evolversi della domanda e dei consumi energetici a breve/medio termine.
Ci sono tanti segnali che indicano una forte diminuzione dei consumi mondiali di carbone e petrolio, e altri che spingono verso rinnovabili, efficienza e mobilità elettrica. L'Europa deve ratificare subito l'accordo di Parigi, ma sembra aver dimenticato di essere stata la guida nelle politiche sul clima. E l'Italia deve riprendere la sua corsa. L'editoriale di Gianni Silvestrini.
Dopo la Cop21 sono molti i segnali che indicano come sia in atto un’accelerazione della transizione energetica.  
Il primo elemento, riguarda la caduta di “King Coal”, un fatto considerato impensabile fino a poco tempo fa, quando tassi annuali di crescita del 4% avevano portato il carbone a coprire il 29% dei consumi energetici e il 46% delle emissioni mondiali di CO2 dei fossili. Ma lo scenario è rapidamente cambiato. Negli Stati Uniti, i consumi di carbone sono calati del 13% durante gli ultimi due anni e per il 2016 è prevista un’ulteriore riduzione del 6%; crollo che ha comportato il fallimento delle due più grandi società di estrazione di questo combustibile, la Peabody Energy e la Arch Coal. 
E, sempre nel 2016, il gas supererà il carbone nella generazione elettrica. In Cina, il calo dell’ultimo biennio è stato del 6% e la riduzione dovrebbe proseguire anche quest’anno, con un -2% (nel primo trimestre -3,7%). Pechino ha deciso di bloccare la costruzione di 250 centrali a carbone per una potenza di 170 GW. Una scelta significativa, accompagnata dall’annuncio della chiusura di un migliaio di miniere e della sospensione dell’avvio di nuove estrazioni.
Potremmo continuare nella panoramica mondiale con la decisione del Regno Unito di eliminare la generazione a carbone entro il 2025 e con il piano in elaborazione da parte della Germania per uscire, dopo il nucleare, anche dai combustibili solidi. Insomma, per il maggiore responsabile del riscaldamento antropico del pianeta è iniziata una crisi profonda e irreversibile.
Altre trasformazioni radicali sono in vista nel settore dei trasporti; ancora una volta risultano decisive le risoluzioni di alcuni governi. Le scadenze proposte recentemente da Norvegia e Olanda per eliminare la vendita di veicoli a benzina o gasolio (2025), ma soprattutto quella del 2030 in discussione in India, sono messaggi forti in grado di accelerare le scelte industriali sulla mobilità elettrica e innescare un effetto a valanga, come dimostra la successiva presa di posizione assunta anche del governo austriaco.
Sarà comunque Pechino che, dopo aver guidato nell’ultimo quinquennio la corsa mondiale delle rinnovabili, piloterà la trasformazione del mercato dell’auto. Si stimano 600.000 nuovi veicoli elettrici nel 2016, un valore più che raddoppiato rispetto alle vendite cinesi dello scorso anno.
Le dinamiche che si sono innescate faranno saltare tutte le previsioni sui consumi di greggio delle compagnie petrolifere. La Exxon, ad esempio, attribuisce alla mobilità elettrica solo il 4% del mercato dell’auto nel 2040. Secondo Bloomberg, invece, la diffusione dei veicoli elettrici comporterebbe già nella prima parte del prossimo decennio una riduzione della domanda di petrolio di 2 milioni di barili giorno (Mbg). Estendendo l’analisi al 2030-2040, il calo dei consumi di greggio diventerà devastante per le compagnie petrolifere.
Un terzo settore, che segnala la rapidità dei cambiamenti, è quello delle rinnovabili che nell’ultimo quinquennio ha visto investimenti nella generazione elettrica doppi rispetto a quelli destinati alle centrali termoelettriche. Un trend che si accentuerà: per il 2020 la potenza fotovoltaica cumulativa aumenterà del 200% arrivando a 450 GW, mentre l’eolico è proiettato verso i 750 GW.
Naturalmente, non possiamo dimenticare l’impennata avvenuta nel campo dell’efficienza energetica. Pensiamo per esempio al successo del programma indiano Domestic Efficient Lighting  Programme (Delp) che in soli 20 mesi ha fatto calare i prezzi dei Led dell’83% e, di conseguenza, ridurre di 2,3 GW la potenza di punta richiesta sulla rete. Visti i risultati ottenuti con la vendita di 90 milioni di lampade, ad aprile, il governo ha deciso di alzare il tiro e di diffondere altri 770 milioni di Led.
Per finire, va sottolineato un cambiamento che non riguarda una tecnologia o un combustibile, ma alcuni importanti settori del mondo finanziario; parliamo di istituzioni, fondi e istituti bancari, che stanno trasferendo colossali risorse dal mondo dei combustibili fossili e quello delle tecnologie verdi. Così, la Banca Mondiale, in passato accusata di finanziare progetti ambientalmente criticabili, ha deciso di dedicare il 28% dei propri fondi a interventi climatici. Ancora più drastica la posizione della banca statunitense JP Morgan Chase &Co, che non intende più finanziare miniere o centrali a carbone nei paesi Ocse, progetti che vengono accomunati al lavoro minorile tra le “transazioni proibite”.
La firma dell’accordo di Parigi: Europa a basso profilo
Lo scorso 22 aprile, a New York, ben 175 paesi hanno firmato l’accordo sul clima di Parigi. Al fine di garantire la sua entrata in vigore, dovrà seguire l’approvazione formale da parte di almeno 55 paesi responsabili di una quota superiore al 55% delle emissioni mondiali. È probabile che l’iter sarà molto più rapido rispetto ai sette anni che sono stati necessari per l’avvio del Protocollo di Kyoto. L’entrata in vigore dell’accordo di Parigi potrebbe infatti avvenire tra il 2016 e il 2017.
Considerato che Cina, USA e Canada, le cui emissioni complessivamente raggiungono il 40% del totale, si sono già impegnati ad effettuare rapidamente questo passaggio, mancherebbe un gruppo di paesi responsabili del 15% delle emissioni.
Per quanto possa sembrare paradossale, è difficile che questo ruolo venga svolto dall’Europa. Purtroppo la UE, già guida delle politiche del clima, è divisa; occorre la ratifica da parte dei Parlamenti di tutti i 28 Stati membri, con i tempi di attuazione che saranno lunghi. Non stupisce la resistenza della Commissione all’innalzamento degli obiettivi al 2030, che si renderebbe comunque necessario, dopo il successo dell’accordo di Parigi. La riduzione delle emissioni dei gas climalteranti, che dal 40% dovrebbe passare almeno al 45%, viene rimandata al 2023, malgrado diversi paesi (ma non l’Italia), stiano spingendo per una rapida revisione.
Se poi si volesse veramente evitare di superare l’incremento di 1,5 °C, i tagli dovrebbero essere superiori, attorno al 60%. Le incertezze europee sono, peraltro, sempre meno comprensibili alla luce del crescente allarme climatico, visti i continui record delle temperature. Il primo trimestre 2016 ha segnato un aumento di 1,5 °C rispetto ai valori medi 1881-1910 e di 1,7 °C rispetto ai valori preindustriali.
Far ripartire la corsa dell’Italia
Malgrado le emergenze ambientali e la rapidità con cui sta cambiando il mondo, ci sono però paesi che non stanno cogliendo l’onda. L’Italia, dopo aver seguito un percorso quanto mai originale e anomalo, si colloca tra questi. La sua storia ricorda quella di un atleta drogato che, dopo una partenza fulminante, crolla mentre gli altri corrono verso il traguardo. È opportuno chiarire il contesto che ha portato all’euforia da doping.
Un esempio viene dal decreto “salva Alcoa”, varato dal governo Berlusconi a seguito delle pressioni di potenti lobby. Mentre sull’editoriale di QualEnergia (n. 1 del 2011) si leggeva: «La bolla fotovoltaica è scoppiata con numeri impensabili. La responsabilità principale viene dall’emendamento parlamentare, passato con il consenso del Governo, che ha prolungato la validità degli incentivi 2010 agli impianti installati entro il 31 dicembre». Gianfranco Miccichè, allora leader di Forza del Sud, minacciava di far cadere il governo proprio per sostenere gli alti incentivi al solare. Questo per chiarire le responsabilità di chi ancora oggi se la prende con il comparto delle rinnovabili e, in particolare, con il fotovoltaico.
Le politiche degli ultimi cinque anni si sono basate sulla doppia convinzione che “i comparti delle rinnovabili e dell’efficienza hanno già avuto troppo” e che “visti i risultati acquisiti ora possiamo stare fermi”. In questo modo si sono sottovalutati i notevoli apporti positivi derivati dalla corsa green e si è bloccata l’espansione necessaria per raggiungere gli obiettivi del 2030.
Nella plausibile ipotesi che all’Italia venga richiesto un impegno di riduzione analogo alla media europea, il tasso annuo di riduzione delle emissioni climalteranti nel periodo 2016-2030 dovrà essere più del doppio di quello registrato tra il 1990 e il 2015, e del 50% più alto di quello calcolato per l’intervallo 2004-2015 depurato dall’effetto della crisi: nel periodo cioè della forte crescita delle rinnovabili. Questo, sempre che gli obiettivi al 2030 non vengano innalzati. Sono numeri che chiariscono bene l’accelerazione delle energie pulite, necessaria nei prossimi anni.
Il premier ha affermato che intende lavorare perché le fonti rinnovabili, in questa legislatura, riescano a fornire nel 2018 il 50% della generazione elettrica. A noi basterebbe che venissero adottate misure in grado di far raggiungere questo risultato nel 2025 e talloneremo il governo affinché vengano rapidamente varati tutti i provvedimenti necessari.
Anticipiamo la pubblicazione dell'editoriale di Gianni Silvestrini  (nella sua versione quasi completa) che verrà pubblicato sul prossimo numero (n.2/2016) della rivista bimestrale Qualenergia, in uscita la prossima settimana, con il titolo "Clima d'urgenza".
29 aprile 2016
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Di Gennaro Aprea (del 21/06/2016 @ 19:44:14, in F) Questa è l'Italia, cliccato 691 volte)
PERLE GIAPPONESI
Nell'ultimo periodo avete letto molto di problemi ambientali e climatici. C'erano delle ottime ragioni per trattare questi argomenti, a cominciare dall'attesa per il COP 21 a Parigi dove molti paesi del mondo stavano per riunirsi (dicembre 2015) per trovare soluzioni solide ed urgenti ai problemi del Pianeta.
Per fortuna le azioni concordate, pur non essendo ancora pienamente risolutive, hanno smosso l'opinione pubblica in tutto il mondo; ciò è una cosa molto importante perché la presa di coscienza da parte della "gente comune" spinge dal basso i governanti a tutti i livelli ad agire positivamente e più rapidamente.
Vengo al punto: perché "perle giapponesi"? Quando ero ragazzo, subito dopo la 2a guerra mondiale, leggevo La Domenica del Corriere, settimanale illustrato del famoso Corriere della Sera, di formato inferiore ai "lenzuoli" dei quotidiani che ora sono divenuti più ragionevoli da leggere in forma cartacea.
All'ultima pagina c'era un rubrichetta dove si prendeva in giro, criticandoli in maniera divertente, articoli e notizie apparsi su altri giornali e persino sullo stesso Corriere, per alcuni strafalcioni o assurdità scritte dai vari giornalisti. Mi è venuta quindi voglia di riprendere quella consuetudine sperando di strappare qualche sorriso allegro....di cui abbiamo tutti bisogno in questo mondo che sembra impazzito, pieno di notizie terribili nate dall'odio, dalle guerre infinite, dalla povertà di interi popoli costretti a lasciare i proprio paese, di uomini che uccidono donne, ecc..
Comincio quindi con una critica ai giornalisti che hanno iniziato oggi a scrivere di "Sindaca", come se fosse la prima volta da quando esistono le elezioni amministrative che alcuni "sindaci" donna (o Sindache?) sono stati/e eletti/e.
A questo punto propongo un referendum; chi vuole aggiungere altre diciture è benvenuto; che ne dite di: la Sindaco contrapposta a il Sindaco, la Sindachessa - terribile - (come professore e professoressa o dottore e dottoressa);...a voi le successive proposte.
Eppure esiste il sindacalista che vale per l'uomo e la donna; ed anche il Presidente che qualcuno chiama la Presidente, mai la presidenta o la presidentessa.
Ognuno può mettersi in gara per accertare quale sia il titolo ottimale....Ma finora ho scherzato .
La cosa che non posso accettare di questa infima diatriba - parlo seriamente - è che stamattina durante la trasmissione "Prima Pagina" di RADIO 3 dalle 7.15 alle 8.00 il giornalista/conduttore di turno abbia dissertato per 10 minuti circa su questa "importante" notizia, cioè su come occorre chiamare le 2 nuove elette a Sindaco di Roma e Torino. Hanno proprio tempo da perdere facendoci annoiare su questa cazzatella nell'attesa di vere notizie sui quotidiani del giorno?
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