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Calcio e Gladiatori
Di Gennaro Aprea (del 07/02/2007 @ 15:38:35, in I) Sport e Calcio, cliccato 1376 volte)
Calcio e gladiatori
 
“Non è più uno sport…” Questo non lo dico io, come ho già scritto nel mio primo articolo sul calcio l'anno scorso. L’ho sentito dire da una persona qualunque, intervistata da una troupe televisiva dopo l’assassinio dell’Ispettore di Polizia Filippo Raciti eseguito da giovani tifosi di una squadra di calcio, non si sa ancora quale, ma non ha importanza.
Allora mi sembra che il mio pensiero che il calcio non sia più uno sport e che esso sia una scuola di violenza non è lo sfogo di una persona come me amante degli sport, che in passato tifava per la squadra della città di origine e che ha giocato qualche volta da portiere e da terzino.
Mentre scrivo, il Governo non ha ancora deciso se gli stadi che non sono a norma di sicurezza ospiteranno le partite a porte chiuse. Mi auguro vivamente che questa volta queste punizioni per i tifosi, per le società di calcio conniventi con le tifoserie violente, e soprattutto per le “ganghe” più o meno politicizzate che “supportano” (questo verbo è volutamene satirico) le proprie squadre con atti delinquenziali dentro e fuori gli stadi, siano messe in atto con la massima severità. Non come quella “buffonata” di processi e di condanne dell’anno scorso che si sono dimostrate un “buffetto” e non un bel paio di schiaffoni alle squadre condannate in serie B o C con aggiunta di punteggi negativi. Condanne che sono iniziate con punizioni esemplari e che poi, man mano che passava il tempo, si sono ridotte quasi a dolci carezze. Tutto ciò per non far perdere denaro e fama agli interessi capitalistici, spesso sporchi, delle società di calcio.
Visto dal mio punto di vista, il fatto che gli stadi negli ultimi 4 anni abbiano perso e continuino a perdere spettatori è un’ottima notizia e non vale il fatto che siano aumentati di poco gli spettatori delle partite in TV.
Ho l’impressione, e spero di non sbagliarmi, che la gente abbia già iniziato a stancarsi di questi spettacoli dove i giocatori si comportano con violenza sul campo, incitati dalle tifoserie sugli spalti, tifoserie che, sempre più frequentemente, continuano a fare ciò che è successo a Catania, a Bergamo, solo per parlare degli ultimi episodi.
A proposito di violenza in campo, un paio di settimane fa quell’ottimo giornalista di Piero Angela e dell’altrettanto ottimo figlio d’arte Alberto (che ho avuto il piacere di conoscere a La Madeleine in Val d’Aosta quando Alberto aveva circa 10 anni) hanno mandato in onda una puntata di Superquark nella quale hanno descritto la storia dei Gladiatori e degli anfiteatri (lèggi stadi), in primis il Colosseo, al tempo dell’impero romano. Ebbene si è visto che i gladiatori erano come oggi sono i giocatori di calcio (salvo beninteso poche eccezioni), molti schiavi o ex schiavi, comprati a suon di denaro, scambiati fra un padrone e l’altro, che divenivano ricchi e si compravano la loro libertà, adorati dalla donne romane anche dell’alta aristocrazia (le cosiddette VIP di ora) alle quali piaceva andarci anche a letto insieme, ecc. ecc. Sugli spalti, pardon sulle gradinate, vi era il pubblico che li incitava a vincere uccidendosi l’un l’altro, oppure a lottare con le bestie feroci quasi a mani vuote; e se volevano che il perdente vivesse, mettevano il pollice in giù, quindi l'imperatore doveva quasi sempre seguire il parere della folla avendo solo  lui diritto di vita o di morte sui duellanti.
Così gli Angela hanno fatto un paragone con l’odierno gioco del calcio (violento) ed hanno trovato moltissime similitudini, salvo una.
I ”tifosi” di un gladiatore non si scontravano con quelli dell’altro che combatteva contro il primo, né sulle gradinate, né fuori. In altre parole vi era ancora un’etica “sportiva” seppur su uno spettacolo violento ed efferato, e non, come adesso, una “vocazione all’illegalità” diffusa.
Qualche tempo fa ho letto un suggerimento di un giornalista, che proponeva di dividere il gioco del calcio in due. Quello dei professionisti – che lui stesso giudicava non più uno sport ma, oltre alla violenza, solo un grosso business – e quello dei dilettanti che invece poteva essere considerato ancora uno sport perché non legato al giro finanziario (stadi, TV, scambi di giocatori e stipendi di milioni, ecc.) e giocato da persone che amano e vogliono fare sport, quindi "teoricamente" corrette e sostenute da spettatori corretti, spesso parenti, amici, figli-bambini. Mi è sembrata un’ottima idea e mi ripromettevo di parlarne proprio qui per approfondirla.
Poi ho visto qualche giorno fa al telegiornale e letto sulla stampa che un dirigente di una squadra di terza categoria, cioè in pratica di dilettanti, è stato ucciso da tifosi a calci e pugni perché voleva difendere un giocatore della sua squadra aggredito in campo, un campetto di paese. Allora mi sono cadute le braccia e mi sono detto che con il calcio non c’è proprio più niente da fare. Non resta che cancellarlo da ciò che si chiama “sport” con conoscenza di causa, e lasciarlo andare al diavolo.
Intorno ad altri sport girano molti interessi, danaro e pubblicità, ecc., la Formula 1, la pallacanestro, la palla a volo, il tennis, lo sci, il ciclismo e perfino l’atletica leggera ed altri ancora. Ma i tifosi, seppur accaniti ed organizzati, non sono violenti, non incitano alla violenza, non uccidono.
Chi è d’accordo con me si faccia sentire; chi non condivide le mie idee si faccia sentire lo stesso, spero senza improperi, ma con proposte intelligenti e costruttive per una soluzione di questo problema.
Un ultimo rispettoso pensiero all’Ispettore Raciti e alla sua Famiglia.

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