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RISPOSTA SUI GIORNALI 2 - Il Blog: discussioni, articoli, pensieri e scambio di idee
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RISPOSTA SUI GIORNALI 2
Di Gennaro Aprea (del 19/03/2010 @ 17:49:48, in C) Commenti e varie, cliccato 718 volte)
Una cara amica, Gabriella Campioni, concittadina rodanese, insegnante di gran valore in pensione, dopo aver letto il mio articolo sul possibile declino dei giornali, mi ha inviato un estratto di una sua conferenza che illustra il contenuto di un suo libro scritto qualche tempo fa. La prof. Campioni mi ha dato il permesso di riprodurlo sul sito.
Chi lo leggerà, potrà apprezzare alcuni concetti molto utili a tutti noi, e qui la ringrazio pubblicamente.
 
Nel corso di una telefonata con la prof Campioni, ho espresso qualche dubbio sulla validità dell'indagine eseguita in Italia "a scartamento ridotto" per questioni di budget.
In effetti mi posso permettere di dubitare su queste ricerche perché mi sono laureato con una tesi che era una ricerca di mercato, ed ho praticato le ricerche durante l'intero periodo della mia vita lavorativa.
Un campione che rappresenti la popolazione italiana di sole 1728 persone è troppo limitato per essere significativo e corrispondere all'intera popolazione; inoltre si sarebbe dovuto prendere un campione che comprendesse le età da 15 a ben oltre 60 anni, credo almeno fino agli 80; infine sarebbe necessario fare una seconda ricerca - così come hanno fatto gli americani - per osservare un trend, cioè le differenze fra il periodo 2005-2006 ed oggi.
In conclusione non credo che i "creativi culturali"  italiani siano così numerosi.
 
 
 
 
Conferenza Creativi Culturali
 
Da: Cheli e Montecucco, I creativi culturali, Xenia,
 
Il libro e la ricerca connessa prendono le mosse da un lavoro di Erwin Laszlo, filosofo della scienza di fama mondiale. È stato candidato al Nobel per la pace ed è autore di circa 50 libri tradotti in svariate lingue.
 
Laszlo sostiene, ed è difficile dargli torto, che stiamo vivendo un autentico worldshift, ossia ci stiamo avvicinando a un punto di non ritorno verso il caos e la distruzione, per cui è fondamentale cambiare rotta. E rapidamente.
 
Le direzioni e gli obiettivi che le civiltà e gli individui perseguono sono determinati dai valori e dalle VISIONI (Rifkin, visualizzazione) ai quali aderiscono. Se il mondo sta andando in una direzione che non ci piace, è evidente che dobbiamo mettere in discussione i valori ancora in auge, d’altro canto, contrariamente a quanto solitamente pensiamo, i valori non sono eterni: basta dare un’occhiata alla Storia per rendersene conto.
 
I valori ancora in auge più marcati sono, secondo gli autori:
 
-         la guerra/violenza come metodo per la risoluzione dei conflitti;
-         lo sviluppo economico illimitato (ma alcuni cominciano a invocare una decrescita);
-         Il consumismo;
-         Lo sfruttamento indiscriminato della natura;
-         L’ego/etnocentrismo, che comporta il percepire il diverso da sé come antagonista;
-         La logica del profitto a breve termine, senza curarsi delle conseguenze a lungo termine.
 
Già da diversi anni molti hanno riveduto i propri valori, adottando stili di vita e comportamenti tali da favorire un rapporto con se stessi, con gli altri e con il pianeta più armonico, costruttivo e sostenibile anche a lungo termine.
 
Ci si può chiedere allora:
  1. Di quali valori sono portatori e a quali categorie socioculturali appartengono?
  2. Quante sono queste persone e quindi che impatto possono avere ai fini di un effettivo cambiamento?
  3. In che modo si relazionano con se stessi, con gli altri e con l’ambiente?
  4. Quale sarà la loro evoluzione e che tipo di società potrebbe nascere se le loro visioni prevalessero?
 
In questa sede ci occuperemo dei primi due punti.
 
I valori di cui sono portatori sono molteplici, ad esempio:
-         Sensibilità ecologica;
-         Attenzione alla pace e alla qualità delle relazioni personali/sociali;
-         Interesse per la crescita personale e la pratica spirituale (in diverse forme, non necessariamente religiose);
-         Parità di diritti tra maschi e femmine;
-         Coscienza sociale;
-         Visione positiva dell’essere umano. Senso di responsabilità. Fiducia e speranza nella possibilità di un’evoluzione in meglio per sé, per la società e per il pianeta in tempi brevi;
-         Autenticità e integrità;
-         Ricerca di esperienze, più che di “cose”;
-         Interesse per le medicine naturali, i cibi naturali, le fonti di energia alternative, etc.
-         Molto importante, costoro producono cultura, ossia scrivono articoli e libri, favoriti anche da internet, cercano risposte e soluzioni personali.
 
Soprattutto per quest’ultima ragione, per loro è stato coniato il termine Creativi Culturali. Basta riconoscersi in almeno alcuni dei valori suddetti per rientrare in questa categoria, il che è molto importante per le ragioni che vedremo più oltre.
 
Laszlo distingue comunque tra due tipi di Creativi Culturali:
-         Creativi Culturali Verdi. Sono coloro che si orientano prevalentemente verso gli obiettivi di tipo ambientalistico e sociale perseguendoli attraverso movimenti, azione politica, sensibilizzazione collettiva.
-         Creativi Culturali Interiori (Core CC). Sono coloro che hanno gli stessi obiettivi, ma perseguendoli più a livello personale, anche mediante pratiche spirituali. In tal modo migliorano se stessi e influenzano un intorno più ristretto (per lo meno, aggiungo io, se teniamo conto solo degli aspetti più “materiali” e verbali della comunicazione, mentre oggi, grazie anche alla Fisica Quantistica, cresce la consapevolezza dell’impatto che può avere il pensiero e delle distanze che può raggiungere.
 
Quanti sono i Creativi Culturali e a quali categorie socioculturali appartengono
 
Le risposte a queste domande si basano su una serie di inchieste, la prima delle quali fu condotta negli USA tra la metà degli anni ’80 e la fine dei ’90 dal sociologo Paul H. Ray e dalla psicologa Sherry R. Anderson e pubblicata su alcune riviste scientifiche e in un libro (The Cultural Creatives, Harmony Books, 2000). Sulla scorta di questa, Laszlo e gli autori del libro, Cheli e Montecucco, hanno condotto inchieste similari in Italia e in altri Paesi non solo europei, ad esempio in Giappone, a partire dal 2002.
 
I dati e i parametri di valutazione di tali indagini occupano una grossa parte del libro. In questa sede basterà citare quelli globali.
 
Dalla prima ricerca USA emerse che nel 1995 i Creativi Culturali erano il 23% della popolazione adulta, ossia 44 milioni di persone e nel 1999 un quarto, ossia 50 milioni di persone appartenenti ai più disparati ambiti socioculturali. Una successiva indagine del 2008 dimostrò una marcata crescita di tale fascia, passando in soli 9 anni dal 25% al 35%, ovvero 80 milioni di persone. Dal 1995 al 2008 la crescita media è stata del 3% annuo. Tutt’altro che una nicchia, come molti pensano.
 
In Italia l’inchiesta è stata un po’ più “a scartamento ridotto” per ragioni di budget e si svolta in pratica in un solo anno, a cavallo tra il 2005 e il 2006 su un campione di 1728 persone tra i 18 e i 60 anni di età e appartenenti a diversi ambiti socioculturali. Inoltre le domande sono state di meno e con un diverso approccio metodologico, perciò questa indagine va considerata come un inizio ed è solo parzialmente comparabile con quella americana.
 
Ciononostante ha dato risultati interessanti: anche da noi il 35%. Il 55% si è dichiarato “in transizione”; il 5% “in transizione incerta e il 5% poco sensibile.
 
I dati sono praticamente identici a quelli riscontrati in altri Paesi europei. In Giappone il risultato è il 30%, il che è comunque significativo considerando le caratteristiche culturali di questo Paese. Nel complesso si è comunque dimostrato che si tratta di un fenomeno ben più diffuso di quanto molti pensassero.
 
 
Ci si chiede a questo punto come mai i Creativi Culturali abbiano un’influenza limitata sulle scelte politiche, economiche, sociali e ambientali. Gli autori identificano alcune risposte:
 
  1. Complici i mass media e i modelli da essi propagandati, i Creativi Culturali si percepiscono come un’esigua minoranza ininfluente, il che diminuisce di molto la loro “carica”;
  2. L’idea erronea che i vari campi tematici e i diversi movimenti che li rappresentano siano elementi autonomi e separati, mentre in realtà si tratta di sfaccettature di un unico fenomeno (RIFKIN). Questo crea divisioni, rivalità e incomprensioni tra i vari gruppi e movimenti, ostacolando la coesione e la capacità di convergere verso mete comuni;
  3. La scarsa consapevolezza circa l’esistenza di una logica unitaria di riferimento sottostante alle apparenti diversità di linguaggi, movimenti, visioni del mondo. Un metamodello  in grado di connettere le diverse anime del processo che gli autori chiamano “paradigma olistico emergente”;
  4. Coloro che detengono le leve del potere economico e politico, e quindi decidono la “rotta” dell’umanità, sono in maggioranza ancora fortemente asserragliati sui valori della cultura dominante, vuoi per cultura, vuoi per miopie ideologiche o per fattori egoistici.
 
 
 
Terminata l’esposizione dei punti principali del libro, vorrei aggiungere alcune considerazioni personali.
 
Importanza della visione. La realizzazione di qualunque progetto segue necessariamente una visione, l’immaginarlo già realizzato, pur accettando gli aggiustamenti da apportare “in corso d’opera”. È dunque importante “vedere” il mondo come lo vorremmo e come se fosse già così. Allo scopo è utile conoscere i meccanismi della mente e soprattutto il potere dell’immaginazione, da molti considerata una facoltà “di serie B”, futili castelli in aria. A parte il fatto che, a mio avviso, tutto nel creato e di ciò di cui siamo stati dotati serve e quindi rifiutarlo è “inquinante”, in realtà è proprio il relegarla che la induce a galoppare come un cavallo pazzo. Oggi esistono svariati corsi e libri che spiegano ampiamente il tutto e aiutano a rimettere in funzione il “muscolo” immaginazione e a governarlo.
 
Importanza della carica emotiva. Molta psicologia insegna che, più che i fatti, ciò che ha maggiormente impatto su di noi sono le emozioni con cui li viviamo, emozioni che permangono lungamente dentro di noi e spessissimo determinano i nostri modelli di comportamento e le “griglie” attraverso le quali interpretiamo la vita e il mondo. E spesso richiedono lunghi anni di psicoterapia per essere integrati e superati.
Sia per realizzare un progetto che nell’immaginarlo già realizzato occorre “passione”, occorre sentire la gioia, la soddisfazione e quant’altro possa caricarlo. Spesso invece il risultato positivo viene preso per scontato, non ci “muove” più di tanto dentro, mentre siamo prontissimi a emozionarci per i vari misfatti che ci propinano i mass media. Sono emozioni che ci danno una visone deprimente del mondo e quindi ci riempiono di paura (magari suscitata e strumentalizzata ad arte, come nel caso dell’influenza suina), ci allontanano dal nostro prossimo e ci inducono a rintanarci in casa. Devo ricordare che, se l’unione fa la forza, la separazione fa la debolezza? Preciso che sto parlando di emozioni in senso quantitativo, non qualitativo: le emozioni “negative” sono in genere più forti di quelle “positive”. Per essere produttiva e condurci alla realizzazione nel concreto, la nostra visione dev’essere ben carica di emozioni positive e propositive.
 
Conoscenza delle nuove scoperte scientifiche. La fisica quantistica, e non solo quella, ha scardinato molte limitazioni alle quali credevamo ciecamente. Oggi sappiamo che viviamo in un campo estremamente vasto ed estremamente potente, nel quale praticamente tutto è possibile, inclusi i miracoli. Questo campo, per così dire, è fatto di sostanza mentale, per cui ci si connette a esso e alle sue possibilità mediante il pensiero, ma non quello logico (emisfero cerebrale sinistro), che ci serve per il circostante ed è legato al concreto, bensì quello immaginativo/intuitivo (emisfero destro). O per meglio dire occorre far sì che i due emisferi, e quindi le due facoltà mentali, collaborino sinergicamente e sincronicamente.
Questo implica che, se opportunamente addestrato e utilizzato, il nostro pensiero può collegarsi ai pensieri di altri, ad esempio i creativi culturali di cui sopra, e ottenere un effetto cumulativo che ben di più della somma delle singole forze-pensiero. Gli esperimenti sulla “centesima scimmia” e quelli condotti dalla Maharishi University e altri hanno dimostrato che basta una forza-pensiero esigua, rispetto ai numeri della popolazione, perché si raggiunga la cosiddetta massa critica, capace di determinare un cambiamento più o meno globale. Tali esperimenti dicono che basta la radice quadrata dell’1%. Oppure basta, per innescare il processo, un trascinatore. Ma oggi, purtroppo o per fortuna, di trascinatori, di grandi menti non ce ne sono…
Sottolineo che il “campo” non distingue tra il cosiddetto bene e il cosiddetto male. In altri termini, l’effetto di cui sopra può avvenire in un senso “positivo” o in un senso “negativo”. Come esempio basti quello di Hitler.
Sta a noi, dunque, mettere la massima attenzione nei pensieri che nutriamo e nei nostri stili di vita. Poiché la massa, evidentemente, è fatta da individui, da ognuno di noi. Come possiamo invocare la pace se siamo in guerra contro parti di noi, i nostri parenti, i nostri vicini? La mancanza di “grandi”, a mio avviso, sta proprio a dirci che non è più tempo di “Maestri” da seguire come pecore: ognuno è chiamato a essere il maestro di se stesso, ad assumersi piena responsabilità, a pensare con la propria testa, con il proprio cuore e la propria pancia.
 

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