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PASSAGGIO SULL'OUED
Di Gennaro Aprea (del 07/08/2008 @ 11:15:27, in C) Commenti e varie, cliccato 795 volte)
PASSAGGIO DELL’ ”OUED”
Si dice che nel periodo delle vacanze si legge di più. Quindi ho deciso di raccontarvi un altro episodio un po' particolare  che mi è successo qualche anno fa, nel 1976. Molti di voi non hanno il collegamento con Internet nel luogo di villeggiatura, quindi quei lettori del mio piccolo sito potranno leggerselo al ritorno a casa. Parla del Marocco, che è uno dei più bei paesi del mondo: andateci, ma non in un villaggio vacanze perché è necessario vederlo tutto, magari con un fuori strada.
Di ritorno dal Brasile (dove ero stato per più di un anno per lavoro) ci fermiamo in Marocco per circa una settimana di vacanza.
 Ricordavo bene il Marocco dove avevo passato alcuni mesi per lavoro nel 1963. Mi aveva lasciato nella mente immagini indimenticabili dell’immensità dei deserti di sabbia e di sassi, della neve sul Moyen Atlas, dei villaggi di fango con i palazzi “czar[1], dell’azzurro del cielo e della gentilezza degli abitanti, dei vellutati occhi neri delle donne, dell’oceano e delle nebbie di Casablanca, dell’ottima cucina e dei vini profumati, tutte cose viste spesso frettolosamente durante i viaggi di lavoro.
Ora volevo rivederlo con Dany che non lo conosceva affatto.
Così, appena arrivati all’aeroporto, noleggiamo una macchina, nuova per noi perché uscita da pochi mesi dalle catene di montaggio della Fiat, la 127.
Una breve puntata a Casablanca per un magnifico couscous e due ore di riposo dalla notte passata in aereo, poi subito sulla strada per Marrakech passando attraverso la depressione dove la temperatura arriva a 48°C (e non c’era il condizionatore).
Poi un paio di giorni in quella città bella e piena di attrazioni, la medina, il pasto casalingo con la famiglia della nostra guida (obbligatoria nel labirinto del souk/mercato), gli uliveti, le corse dei cavalieri del re… e via verso il passaggio dell’Haut Atlas sul passo, alto più di 2700 metri. Ci attendono 520 Km di strada per arrivare ad Erfoud, nel nord est del Marocco..
La strada che conduce al passo è in salita dura e gli ultimi tre chilometri è in terra battuta. Poi, all’apparire dell’altro versante, si presenta un panorama fantastico con l’orizzonte infinito del deserto. Scendiamo lentamente godendoci le visioni incantevoli che si rinnovano ad ogni tornante. Dopo quasi un’ora arriviamo sulla pianura desertica segnata da un nastro di strada asfaltata in perfetto ordine che corre parallela alla catena dell’Alto Atlante verso nord. Attraversiamo la cittadina di Ouarzazate e ci ritroviamo ancora in pieno deserto. La 127 fa’ il suo dovere e ci sentiamo sicuri, devo ammettere con un po’ di incoscienza perché, se si fermasse, non sapremmo cosa fare.
Siamo diretti verso nord-est e sulla strada non c’è segno di vita. Dopo una sessantina di chilometri vediamo da lontano un gruppo di case di fango. Ci rincuoriamo perché cominciavamo ad essere preoccupati, ma quando ci passiamo vicini ci rendiamo conto che sono abbandonate e cadenti…
Passa un’altra ora. Ci basterà la benzina? Appena ci scambiamo questo pensiero con un dito sul cruscotto e un’occhiata di intesa, dietro una curva, appare un villaggio, questa volta abitato, pieno di bambini che corrono urlando di gioia dietro l’automobile e facendoci festa. Sulla strada incontriamo altri villaggi e una stazione di servizio. Finalmente rincuorati proseguiamo addentrandoci in una nuova strada più sperduta che ci indirizza a destra. Al bivio c’è un poliziotto che ci chiede un passaggio e si presenta subito in perfetto francese. “Sono Ahid Lahcen e sto andando a casa in permesso nel mio paese – poi continua – cosa fate di bello in Marocco?”
“Stiamo andando a Erfoud e facciamo un po’ di turismo”.
“Très bien – continua – allora potete lasciarmi proprio dove c’è la mia famiglia, a Tourug”
La conversazione continua per un po’. Noi gli raccontiamo del nostro viaggio, da dove veniamo, lui della moglie e dei bambini, che già sono quattro; eppure dimostra non più di 25 anni.
Quando ci avviciniamo a Touroug, la strada comincia ad essere coperta di fango, ancora fresco, così dobbiamo diminuire la velocità per evitare sbandate pericolose. La fronte di Ahid si increspa, sembra preoccupato. Appena incontriamo qualcuno , lui ci chiede di fermarci e domanda notizie.
Purtroppo ci sono state delle piogge molto forti che sono durate tre giorni, cosa quasi assurda ai margini del deserto, e la strada che passa sull’oued è interrotta…
Chiediamo : "cosa è l’oued?" e Ahid ci spiega. Gli oued sono delle fiumare, di solito molto larghe, in alcuni punti fino a 300 metri, e una di queste passa per Touroug.
Ma non è questo il problema. Il fatto è che la strada che attraversa l’oued è molto antica ed il passaggio è ancora quello costruito dai romani, quelli dell’impero di quasi 2000 anni fa. Gli ingegneri, anzi i genieri dell’esercito romano, non costruivano ponti ma riempivano il fondo dell’oued, di circa 80-100 cm più basso rispetto alle rive, costruendo così  con dei massi di roccia della montagna vicina una sopraelevazione e creando quindi una strada che, ad intervalli di circa un metro, ha tanti piccoli tunnel ad arco per lasciare passare sotto il piano stradale l’acqua piovana…. la poca e le poche volte che veniva giù dal cielo.
Questa volta però la pioggia è stata talmente forte e ininterrotta in tutta la zona che, non solo ha superato il livello stradale dell’attraversamento dell’oued inondando anche parte del villaggio, ma la forza dell’acqua ha trascinato via molti sassi, creando delle buche profonde sul passaggio veicolare. Quindi, nessuna possibilità di continuare.
Ma Ahid si mostra ottimista, sa che vogliamo arrivare ad Erfoud prima di notte e tenta di tranquillizzarci. Sorridiamo per fargli piacere, ma già pensiamo che il nostro programma di viaggio sarà prolungato e ci dovremo fermare a Touroug…..chissà per quanto tempo!
Ahid ci lascia per qualche minuto e ritorna quasi subito con una “banda” di almeno 20 ragazzini. Ci ordina di seguirlo e ci avviciniamo all’oued dove scorre ancora l’acqua; però sembra che la profondità sia relativamente bassa, più o meno 30-40 cm.
Si toglie le scarpe che si lega ai fianchi, poi si sfila la cintura che per fortuna fa’ solo da ornamento perché i pantaloni sono abbastanza attillati sulla pancetta. Quindi incita i ragazzi ad entrare in acqua formando una linea curva a ventaglio e gli grida di andare avanti tenendosi per mano.
Capiamo subito: la strategia è quella di “tastare” il fondo dell’oued per evitare buche o grosse pietre che potrebbero bloccare o danneggiare la macchina…poi ci incita a seguirlo, lui dietro ai ragazzini che urlano di gioia perché si divertono, anche se sulle loro schiene ogni tanto arriva una scudisciata della sua cinghia a quelli che non eseguono gli ordini.
Così pian piano avanziamo. Un po’ acqua comincia ad entrare anche nell’abitacolo dalla fessura bassa della portiera; un paio di volte le ruote si bloccano contro dei grossi ciottoli, prontamente spostati; Dany è sconvolta, io sono tutto preso dalla guida ma sento di poter dare fiducia in Ahid. Danila impaurita e a metà sul faceto mi urla…”Cosa vuoi,… affondare con la tua barca?”
Il guado dura almeno 20 minuti per un percorso a zig zag di non più di 300 metri. Venti minuti che ci sembrano una vita.
Alla fine la 127 fa’ l’ultimo sforzo e s’inerpica sulla riva opposta sbandando ogni tanto. Ci fermiamo. Dany è finalmente sorridente e si rilassa, io sono in un bagno di sudore per la tensione.
Allunghiamo una bella manciata di denaro ad Ahid dicendogli che la metà è per i bambini. Si schernisce, ma dietro le nostre insistenze, soprattutto pensando ai bambini, accetta non senza dimenticarsi di ringraziarci per il passaggio.
La sera arriviamo ad Erfoud, l’ultimo villaggio prima del deserto, senza alcun intoppo, stanchi ma soddisfatti. Un magnifico hotel di architettura czar con camere regali e docce enormi ci accoglie e poco dopo una cena piacevolissima servita da camerieri impeccabili.
Pensiamo già all’alba di domani quando andremo nel deserto di sassi per vedere il sorgere del sole circondati solo dall’infinito e arriveremo con la nostra fida 127 fino alle dune di Erg Chebbi.
Il giro del Marocco continuò per altri 4 giorni, il canyon con il "Tunnel del Legionario", la magnifica Fes, Meknes, Rabat, ma questa giornata del 1° giugno 1976 è rimasta impressa nella nostra memoria per sempre.
Al ritorno a casa decidemmo di comprare la seconda macchina: indovinatene il modello !


[1] Tipo di costruzioni padronali a forma di fortino

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