SEGUITO DELL'ARTICOLO DI MICHELE SERRA
SEGUITO ARTICOLO MICHELE SERRA
Non sono riuscito, per mia mancanza di conoscenza tecnologica e dopo numerosi tentativi, a inserirlo alla fine dello stesso articolo di Michele Serra, che considero un monumento. E' apparso su La Repubblica di lunedì 7 ottobre. L'ho riportato quindi in un articolo separato perché sono certo che alcuni di voi non l'abbiano notato o non leggono questo quotidiano. Personalmente considero che i miei punti di vista ed i relativi comportamenti nella mia vita siano esattamente gli stessi di quelli che Michele pensa debbano essere patrimonio comportamentale di noi italiani.
Nel 1957 ero molto giovane e sono andato a lavorare in Nigeria quando questo paese era ancora una colonia inglese. Gli italiani non erano ancora come quelli descritti da Serra però in tutti gli atti collettivi in quel paese c’era qualcosa che non conoscevo nei comportamenti di noi italiani in quegli anni. Quindi ho avuto il cosiddetto “imprinting” inglese. Avete presente gli inglesi in fila? Uno dietro l’altro e nessuno che cerca di infilarsi o di affiancarsi. Ovviamente anche i nativi si comportavano così perché avevano imparato a scuola o dagli inglesi in tutti i luoghi pubblici. Ma non basta; nel 1975 sono andato a lavorare in Brasile nel periodo della dittatura dei militari. La prima volta che presi l’aereo/“shuttle” da Rio a San Paulo nel vecchio aeroporto dove ci si avvicinava a piedi all’aereo uscendo dal “gate”, trovai la fila ordinatissima uno per uno: era “merito” – si fa per dire – del regime politico? forse una sua volontà di dimostrazione propagandistica di un regime serio, però ancora è così. Avete invece presente gli italiani in circostanze analoghe? Condivido il 100% delle giuste critiche di Serra, da Roma (dove ho vissuto da giovane 15 anni della mia vita e quando ci torno mi deprimo come lui) ai cori tribali dello stadio e gli applausi della gente ai funerali, ecc.. Ma aver vissuto e viaggiato in tanti paesi esteri mi fa venire l’idiosincrasia delle persone che vivono così, più di quelli che conoscono meno i paesi più civili del nostro.
PS - C'è un'altra cattiva abitudine alla quale Michele Serra non ha accennato. All'inizio di ogni convegno è invalsa da anni l'abitudine del quarto d'ora accademico (di origine professorale/universitaria), che diventa spesso mezz'ora o tre quarti d'ora o anche più. Ai "professori" si aggiungono inoltre i politici i quali contribuiscono ai ritardi dell'inizio. In più chi è chiamato a parlare non rispetta quasi mai il tempo accordatogli/le, né il/la coordinatore/trice non lo riprende e non gli fa notare il ritardo. Risultato: i convegni finiscono sempre in tardo rispetto all'orario previsto; vi sono pochissime eccezioni che confermano l'abitudine ad essere irrispettosi dei partecipanti.
Ho assistito a decine di convegni in numerosi paesi esteri. Se vi sono dei ritardi di 5-10 minuti (mai di più) i coordinatori o gli "speakers" si scusano con la platea. Perché non facciamo uno sforzo per imitarli?: faremmo anche una migliore figura nei confronti di stranieri che assistono sempre più numerosi ai nostri convegni.
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