EDITORIALE 3
E’ esattamente passato un mese da quando ho scritto l’ultimo articolo di questo sito. Le ragioni sono molte; ospiti graditissimi dall’estero che si sono trattenuti da noi e che mi hanno completamente assorbito mentre mia moglie era impegnata, il PC che ha fatto le “bizze”, altri impegni di casa, il giardino, le riunioni (anche di impegno politico), ecc….ma non vi voglio annoiare oltre con i fatti personali.
Poi tutto si è un po’ calmato, ma di fronte agli avvenimenti politici di questi ultimi giorni, sono rimasto senza parole e mi è venuta una specie di orticaria alla quale non so reagire come invece hanno fatto benissimo alcuni ottimi giornalisti, fra i quali non posso non menzionare Michele Serra con la sua “Amaca” di ieri che avrei voglia di mettere in cornice.
A me, che sono un povero tapino, non resta che dire un pensiero quasi banale, cioè che stiamo andando verso un fascismo strisciante che forse diventerà sempre più chiaro e palese.
Quindi questo mio ritorno alla scrittura non sarà un articolo politico o di satira. oppure di critica alle aziende italiane (e in questo campo ci sono sempre cose da dire); forse riprenderò, ma devo ancora metabolizzare la situazione che mi ha lasciato di stucco e con l’amaro in bocca.
E, dato che un sorriso fa’ sempre bene alla salute, mi è venuto in mente che potrei raccontarvi per cominciare qualcosa di leggero – ormai siamo in periodo di ferie – e cioè il primo di una serie di episodi che sono capitati nel corso della mia vita, episodi veri ma quasi incredibili.
Questo risale agli anni 80, quando ero nel pieno della mia attività di consulente di direzione: lo chiamerò:
AVVENTURA IN AEREO (novembre 1982)
C’è stato un periodo della mia vita di lavoro in cui ho viaggiato spesso fra l’Italia e gli Stati Uniti, cinque-sei volte l’anno. All’andare i voli partivano di solito verso le undici-mezzogiorno e si arrivava a New York dopo le classiche otto ore abbondanti, cioè nel primo pomeriggio, ora locale, a causa del fuso orario. Si viaggiava di giorno e si arrivava di giorno quindi difficilmente si schiacciava il classico pisolino.
A ritorno invece i voli partivano verso sera. Ci servivano la cena, poi il film e alla fine spegnevano tutte le luci e i passeggeri si addormentavano. Io come gli altri.
Però avevo – ed ho ancora – difficoltà ad addormentarmi seduto, anche se le comode poltrone degli aerei permettono di abbattere molto lo schienale. Quindi, appena salivo in aereo cercavo, e ci riuscivo spesso dato che i voli non erano mai pieni, specialmente in classe “executive”, a sedermi da solo in una poltrona delle file centrali che ne hanno cinque.
Anche quella sera fui fortunato e tutto si svolse come di consueto. Appena le luci furono spente, cominciai a preparare il mio “giaciglio”, sollevando i braccioli di tutte le poltrone, stendendo alcuni “plaid” (tutti puliti perché estratti da buste di plastica sigillate) sulle sedute, e accomodando il cuscino, anch’esso pulito, a ”capo letto”.
Avevo appena finito queste operazioni nel giro di un paio di minuti, quando una persona si avvicina. Si vede che la sua camminata è tentennante perché si appoggia pesantemente agli schienali delle poltrone. Le sue palpebre sono “a mezz’asta” e gli occhi hanno un’espressione di uomo mezzo addormentato mentre la testa si inclina a destra e a sinistra come se gli pesasse troppo. Il suo abbigliamento denota il classico americano del “Mid-West”, cioè il contrario dell’uomo d’affari newyorkese. Tutto si svolge in pochi secondi
Appena arrivato all’altezza della fila di poltrone da me “occupata” vi entra dentro, si tira giù i pantaloni ed il boxer, e comincia ad urinare sulla poltrona e sulla moquette del pavimento.
Sono esterrefatto e per qualche secondo rimango impietrito. Poi vado dal primo steward che si era già addormentato sulla sua poltrona. Cerco di svegliarlo, ma non capisce subito ciò che tento di spiegargli. Poi finalmente recepisce la stessa frase ripetuta da me tre volte e si alza, comunque con aria incredula. Andiamo insieme al “mio posto” e, saranno passati in tutto almeno quattro minuti, il nostro uomo continua a mingere tranquillamente. Incredibile: quanta pipì può aver espulso in tutto quel tempo!
Lo steward, da buon americano puritano, per prima cosa gli butta addosso un plaid per nascondere le “pubende” e comincia a parlargli sottovoce…..poi riesce ad aiutarlo ad alzarsi, nonostante la mole notevole dell’uomo, e lo accompagna sorreggendolo verso la toilette. Ritorna subito dopo verso di me, ancora frastornato, mi ringrazia e mi dice:
“You know, sa, gli ho servito almeno 10 birre (da 33 cl., cioè in tutto 3,300 litri, nda) e se l’è scolate tutte….non potevo immaginare che gli facesse quell’effetto….era completamente ubriaco, e la sbronza di birra, si sa, è terribile. I am very sorry and apologize for the inconvenient, sono molto spiacente e mi scuso per l’inconveniente”.
Io raccolgo i miei giornali, la ventiquattrore, e mi guardo intorno per cercare un altro posto analogo.
Non riesco a vederlo e un’incazzatura mi sale dal profondo. Mi siedo in una fila a due poltrone.
Indovinate! Facilissima la risposta, non sono riuscito a dormire per tutto il viaggio!
Ho trovato a Milano il cielo plumbeo e, come al solito, sono andato direttamente in ufficio dato che anche questa volta il fuso orario ci ha fatto arrivare nel primo pomeriggio. Cadevo dal sonno ma sono riuscito a lavorare fino a sera.
Però, quando ho raccontato in ufficio davanti a un caffè quanto mi era successo, tutti i colleghi si sono fatti una bella risata…ed in fondo avevo anch’io ben ragione di farla, anche ora mentre scrivo, ripensando che questo è stato uno degli episodi più buffi ed incredibili che mi siano capitati.